2600 chilometri

dalla Calabria in val di Susa

5 / 7 / 2011

Dalla Calabria in Val di Susa

2600 chilometri dalla Calabria fino alla val di Susa, andata e ritorno, per portare la bandiera del No Ponte in mezzo a quelle della No Tav. Abbiamo le stesse motivazioni, quelle contro un opera pubblica inutile, fatta con i soldi dei cittadini e che serve solo a rinnovare capitali, tramite appalti e subappalti e togliere paesaggio, vita pulita, ambiente, territori a chi vi abita. Le ragione contro la No tav sono le stesse contro il No al Ponte sullo stretto. Due anni fa, alla manifestazione contro il ponte del 6 agosto fatta a  Messina, un centinaio di No tav scesero giù per darci manforte. Oggi ricambiamo con la stessa determinazione e  rabbia. La valle ci appare alle 6,30 del mattino dopo 13 ore di viaggio , partenza da Cosenza,  ora, che dopo una notte insonne nel pulmino affittato per l’occasione, arriviamo. Le strade sono deserte e ne approfittiamo per rilassarci e goderci la bellezza dei luoghi. Paesini puliti, fiumi limpidi, castelli sulle punte di montagne e colline. Sembra di entrare in una valle magica, di paesaggi di Tolkien. Non vediamo quelle orribili speculazioni edili che accompagnano i territori calabresi. Gli albergoni costruiti con i soldi della ‘ndrangheta e della Regione Calabria, i mega villaggi sulle scogliere e le colline che un tempo erano coltivate ad uliveti e cedro. Ovunque scritte No Tav fatte con pietre bianche ci indicano le opposizioni dei valliggiani. L’atmosfera si riscalda quando vediamo camionette della polizia schierarsi e nascondersi nelle gallerie dell’autostrada. Siamo forse le ultime auto a passare. Poi l’autostrada verrà “chiusa per ordine pubblico” ci sarà scritto sui tabelloni luminosi. E’ un susseguirsi di pulmini e mezzi di polizia, carabinieri, vigili del fuoco, finanza. Si preparano all’assalto, altro che all’ordine pubblico. Ci rilassiamo quando entriamo nel piccolo paesino di Exiles dove ci sarà il concentramento di tutto i cortei. Un tabellone dice subito alle auto di rallentare in quanto in quel paesino ancora ci sono bambini che giocano per strada. Un segnale di grande civiltà che subito ci fa rilassare e spingere in un baretto che sforna cornetti caldi e cappuccini ai primi arrivati per la manifestazione. E lo spazio sotto il grande fortino si riempie subito di migliaia di persone giunti da tutta la valle e da tutta Italia. Incontriamo i ragazzi di Palermo, di Reggio Calabria, di Napoli, di Taranto. Quando apriamo lo striscione della “Rete difesa del territorio” , che raccoglie tante associazioni della Calabria sono tantissimi i calabresi che vivono a Torino, a Milano, al nord che si avvicinano e vogliono sapere da dove veniamo. “ Ji sugn’ i jirac’ ci dice un operaio che vive a Genova da tanti anni. E con questo striscione ci incamminiamo verso il cantiere de La Maddalena occupato dai reparti dei carabinieri   fin da una settimana. Il corteo parte puntuale alle 10. Si vede che siamo in oltre 50 mila. Il serpentone è lunghissimo, compatto e soprattutto molto ma molto arrabbiato. I camioncini davanti a spezzoni dei cortei che sparano musica, sono coperti dal suono delle pietre e dei bastoni sbattuti a ritmo sui guardarail. E’ un suono che rimbomba per tutta la vallata e che da l’idea di quanta gente stia scendendo verso il cantiere. Arriviamo ai cantieri verso le 12. E’ un assedio pacifico, fatto da bambini, mamme, donne, anziani, giovani. Un popolo che rappresenta in quel momento la rabbia di tutti gli italiani che lottano per la difesa dei  propri territori, da Napoli contro le discariche della camorra, a Reggio calabria contro il ponte della ‘ndrangheta, a Palermo, a Taranto contro i fumi tossici dell’Ilva. Siamo tutti lì a difendere i nostri pezzi della vita, della nostra memoria, del nostro essere. Lo stato, quello che ci ruba la vita e che non difende il nostro futuro ha mandato lì i propri servitori. Quelli addestrati ad offendere la vita degli altri, a picchiare i ragazzi catturati, a sparare lacrimogeni sulla folla. Sono peggiori della polizia di Mubarack che si rifiutò di sparare sulla folla . Questi non se ne fregano dei bambini avvolti nella bandiera No Tav , per loro sono black blok, terroristi, assassini. Così gli è stato detto e così fanno. La nostra protesta pacifica, tranquilla, viene così interrotta da migliaia di lacrimogeni sparati ad altezza d’uomo, appena ci si avvicina alle loro reti. Quelle reti che difendono il cantiere e che dovrà garantire l’arrivo dei milioni di euro oltre che l’avvio delle trivelle e della distruzione del territorio. Il ponte davanti il cantiere della Maddalena diventa, così il simbolo della resistenza. I giovani si organizzano e si difendono cercando di spezzare le reti, con coraggio ed atti di eroismo, applauditi da migliaia di cittadini che sono rimasti lì,  pronti ad entrare nel cantiere se mai i ragazzi fossero riusciti a sfondare le reti. Quei pochi politicanti giunti sul ponte a farsi intervistare dalle reti televisive sono subito andati via appena sono arrivati i lacrimogeni ed i ragazzi hanno cominciato a rompere le reti. Hanno visto che non erano black blok, potrebbero dirlo, almeno questo. Hanno visto che la violenza era dalla parte di chi lanciava lacrimogeni ad altezza d’uomo e pietre verso la folla. Questo potrebbero dirlo, per ingraziarsi almeno i presenti, poi facessero pure il loro sporco lavoro di prendere le distanze dalle loro paure e dai loro timori, per ingraziarsi i voti degli industriali, dei mass media,  del Presidente della repubblica, dalle forze dell’ordine e del disordine, tanto lo sanno che quella gente, quella massa di giovani, e di persone comuni, non li voteranno mai. Perché hanno capito il loro sporco gioco, e delle loro capacità di prendere per il culo la gente spacciandosi per persone di sinistra. Vogliono la TAV , così come vogliono il Ponte sullo stretto, gli inceneritori , le strade di penetrazione, i porti ed i megavillaggi. Bisognerà imparare , e prima o poi qualcuno lo farà , a prenderli a calci in culo, durante le manifestazioni , dove si presentano solo per farsi intervistare e poi sparire se il gioco si fa serio. Questo lo devono capire anche  i valliggiani  . I cantieri si potranno riprendere solo con la determinazione dei cittadini No Tav ad entrarci rompendo le reti. Queste oramai non si apriranno da sole davanti ad un pacifico corteo neanche se davanti metti la madonna . Questo governo lo ha detto chiaro e tondo, ed ora è ancora più forte , perché ha uno schieramento che va da Vendola al PD al completo, ed ai tanti piccoli sabotatori veri black bloc della politica. Noi dalla Calabria siamo pronti a ritornare in quella valle, perchè siamo certi che se vinciamo contro la Tav abbiamo speranza e più forza per vincere contro il Ponte. Dopo sei ore di battaglia alla fine ritorniamo al nostro pulmino. La battaglia è stata dura. Molti i ragazzi feriti,che non potranno farsi medicare negli ospedali, per non essere arrestati o identificati.  Specie quelli che con coraggio sono entrati nei boschi per cercare di aggirare il cantiere. Lì la battaglia è stata dura, con dei veri corpo a corpo con i gendarmi del regime. Migliaia i lacrimogeni sparati nei boschi a casaccio, colpendo molti manifestanti sulla testa, nella speranza che si allontanassero. Cosa che non hanno fatto e che hanno continuato a fare per ore. Da giù , dal cantiere assediato, giungiamo a piedi  fino a Chiomonte. Qui la fila delle auto è enorme a causa del blocco dell’autostrada da parte della polizia. Troviamo un ferroviere di Messina con la moglie che gentilmente ci accompagna con la sua panda fino ad Exiles. E’ un piccolo contributo per il vostro lungo viaggio ci fa e per ringraziarvi per essere venuti fino a qui ad aiutarci.  Alla prossima .

Francesco Cirillo militante ambientalista  della “Rete difesa del territorio “Franco Nisticò”