Cloro Rosso e Mercato Occupato: con la Fiom, per resistere e rilanciare

13 / 10 / 2010

Il 16 ottobre 2010 anche due realtà autorganizzate della Puglia, come il Cloro Rosso e il Mercato Occupato saranno in piazza al fianco della Fiom-Cgil e delle tante e tanti che attraverseranno le strade di Roma per riprendersi parola e diritti nell'Italia della crisi.

 

L’assedio al mondo del lavoro, alle vite dei lavoratori, portato avanti dalla ditta Marchionne e Marcegaglia, con l’aiuto del manganello mediatico di Berlusconi e De Benedetti infatti ci impone di creare un unico fronte, comune, per resistere e respingere, per difendere i diritti e condannare gli scompensi creati dalla crisi e ancora per rilanciare.

 

Oggi, ignorare e bypassare questa manifestazione, come primo grande momento conflittuale dell’autunno, significherebbe dimenticare Pomigliano, dimenticare quel 36% di operai che di fronte ad un ulteriore vile ricatto (schiavo o disoccupato) ha saputo dire no all'arretramento sui diritti, esprimendo un dissenso materiale, concreto, come non accadeva da tempo in questo paese. Allo stesso tempo non vogliamo ignorare e bypassare Melfi, con la storia dei tre operai reintegrati in fabbrica, ai quali viene garantito il salario ma tolto il lavoro, con il bieco tentativo di relegare quelle tre esperienze in un limbo di privilegio inviso agli altri operai, e quindi perpetrare ancora e ancora la divisione e la guerra tra poveri come strumento di controllo sociale. E così per ciò che accade in quasi tutte le filiere Fiat, nate con sovvenzionamenti statali ed oggi a rischio chiusura a causa dell’assenza di uno stato di diritto che impedisca ad un’azienda a partecipazione statale di abusare in tal modo della delocalizzazione e della cassa integrazione.

 

Stare in piazza con la Fiom significa questo, capire che in Italia sono in pericolo i diritti minimi di ogni lavoratore, comprendere che solo ed esclusivamente dalla difesa di essi è possibile rilanciareuna nuova modalità di sviluppo, un’economia che tenga conto della vita e della felicità dei soggetti reali.

 

Ma Pomigliano, Melfi, e ancora i cantieri navali sono anche storie che parlano dei Sud del mondo e del Sud Italia. Così come anche Rosarno, Termini Imerese, le campagne del foggiano.

 

Ed è proprio dal concetto di Sud che noi intendiamo ripartire. Le ripercussioni economiche di una della crisi più devastanti del ciclo capitalista hanno colpito soprattutto i nuclei a grande concentrazione industriale e finanziaria. Il Sud è quella parte del mondo che non subisce crisi perché è in continua crisi, è in definitiva quel sistema parallelo, a subalternità imposta, necessario al grande capitale per sopravvivere. Mercato da conquistare nei momenti di crescita, immensa prigione in quelli di recessione, eterno esercito di riserva pronto a partire per il Nord, una volta uscito dalla crisi e pronto ad "accogliere". Ma altrettanto facilmente pronto ad espellere. Il Sud emoziona il capitale onnivoro con le sue sconfinate lande disabitate, apparentemente fonti di infinite risorse naturali. Scompare invece dalle zone d’interesse lecite quando, ipersfruttato, si trasforma in discarica abusiva di interi comparti industriali.

 

Questo avviene perché il modello di crescita globale è stato completamente slegato dalle peculiarità dei territori. Le lobbies che detengono il potere economico mondiale hanno imposto a suon di armi e soprusi il proprio ingiusto paradigma di sfruttamento, il proprio modello di sviluppo insostenibile e distruttore. Chi lo segue è in corsa, chi lo nega è fuori. E fuori sono appunto i Sud, come il Sud del nostro paese.

 

I Sud, quindi, sono quelle terre che vedono morire il proprio ecosistema a causa di modelli economici importati dal Nord, sono quelle terre che subiscono l’avanzare del deserto e la scarsità delle risorse (acqua in primis) a causa dei disastri ambientali del capitalismo, sono quelle terre in cui le guerre intestine finanziate dagli armatori occidentali dividono popoli e famiglie, senza alcuno scrupolo, senza alcuna umanità. Queste dinamiche, aggravate nell’ultimo decennio dalle crisi ambientali causate dal sistema di produzione, sono decisive per spiegare i flussi migratori che dal Sud, dai Sud, cercano di raggiungere un Nord sempre più lontano, sempre più stretto. La Puglia, ad esempio, è uno di questi Sud.

 

In Puglia i migranti, sbarcati clandestinamente nella costa ionica o nei porti dell’Adriatico, trovano una totale indisponibilità all’accoglienza da parte delle istituzioni. Tali carenze sono del tutto funzionali a rafforzare il caporalato e le sue leggi schiavistiche nelle campagne di Capitanata, e la malavita organizzata nel barese, nel brindisino, nel tarantino, soprattutto.

 

In Puglia i contadini che provano a lavorare con tecniche di produzione biologiche e ecosostenibili, vengono mangiati dalle produzioni intensive delle grandi multinazionali, dalle importazioni selvagge, dagli speculatori della “politically correct” green economy.

 

In Puglia i cittadini vengono sfrattati dalle case, nella città di Bari, dove comanda il "partito del mattone", la rendita immobiliare è il dogma e l’assenza di politiche abitative ancora una volta è del tutto funzionale agli interessi del padronato locale.

 

In Puglia i cittadini di Taranto e Brindisi sono costretti a subire il vile ricatto tra il lavoro e la salute, a causa di scandali ecologici come l’Ilva e le centrali del carbone, ancora di fronte all’incapacità istituzionale di ridefinire un modello di sviluppo che sappia tutelare l’occupazione e salvaguardare la vita delle persone insieme alle bellezze del territorio.

 

In Puglia esiste un Sud. Un Sud fatto di periferie, di centri sociali repressi e sgomberati, di una normalizzazione del dissenso a cui fa da contraltare un’assenza di prospettiva che non da scampo alle giovani generazioni. Un Sud segnato dalla disoccupazione, dal lavoro precario, dalle mafie locali, dalla fine della speranza nonostante le solite parole al vento dei governanti di turno, sempre e solo espressione dei soliti gruppi di potere.

 

Scendere in piazza il 16 significa rimettere insieme i nostri Sud, creare legami e connessioni tra le vecchie e le nuove forme del lavoro, materiale, cognitivo e precario; significa unire esperienze reali di lotta e di dissenso e non sigle vuote e autoreferenziali, significa far convergere la nostra rabbia verso un unico obiettivo e trovare insieme una via d’uscita nel riscatto, nel sovvertimento del sistema egemonico, e nella riappropriazione delle vite di ognuno di noi.

 

In piazza le nostre esperienze, le nostre lotte, il nostro Sud incroceranno altri racconti, altrettanto tipici e altrettanto paradossali, prodotti dal tempo della crisi. Manager che guadagnano cento volte di più rispetto agli operai (i quali poi pagano con il licenziamento le scelte sbagliate degli stessi manager) con rapporti di oneri e onori inversamente proporzionali al salario. Professioni socialmente ed economicamente inutili che intasano il settore terziario con compensi da capogiro, mentre nell’agricoltura esiste ancora lo schiavismo e il caporalato, e nella migliore delle ipotesipaghe da fame a nero. Giovani studenti illusi mediaticamente che intasano l’offerta di classe dirigente, a causa soprattutto dell’impoverimento dell’istruzione pubblica, si ritrovano a lavorarein un call center dopo essere pesati fino a trent’anni sulle spalle dei propri genitori. Il sottoproletariato urbano, emarginato socialmente e culturalmente, sempre più incancrenito dalla mafia, ormai unica vera alternativa alla miseria ma a volte un vero e proprio modello alimentato dalla cultura del successo e dell’arrivismo. Il precariato che dal pacchetto Treu, passando per la legge 30, ha colpito esistenzialmente e ontologicamente tutta la società, in maniera trasversale, relegando nell’incertezza intere famiglie e impedendo qualsiasi tipo di progettualità ai giovani.

 

E per finire (ma potremmo continuare all’infinito) la disoccupazione, cronica, ormai fisiologica tanto da non risultare più nemmeno nelle statistiche, che si tramuta in inattività, in assenza di speranza, in solitudine e ancora in malavita organizzata.

 

Raccontare questo delirio, significa capire che il dissenso non può e non deve limitarsi alla difesa, giustissima, dei diritti esistenti. Ma da una critica atavica e concettuale del modello di produzione bisogna poi essere in grado di riconoscere l’alternativa e rivendicarla, attraverso il dissenso, attraverso il conflitto.

 

E allora in quella piazza il nostro Sud diventerà sempre più ampio, sempre più ricco di riflessioni e alternative, sempre meno vittima. Mentre quel Nord dove hanno deciso di rifugiarsi con il bottino delle speculazioni perpetrate negli anni diventerà una piccola sacca di privilegio, sempre più stretta e sempre più insopportabile. E nemmeno lo scudo reazionario e razzista, ultima carta giocata dal capitale sotto assedio, riuscirà questa volta a salvarli.

 

Noi vogliamo un mondo senza Sud e senza Nord, in cui ogni territorio sia in grado di gestire le proprie risorse e le proprie iniziative in libertà, autonomia e nel rispetto dell’ambiente. Noi vogliamo ristabilire il legame tra il lavoro e la crescita di una società, abolendo il profitto e rivendicando reddito e dignità per tutti. Noi vogliamo il riconoscimento e il rispetto di ogni singolo individuo, vogliamo la libera circolazione delle persone, vogliamo una società senza oppressi. Noi vogliamo la giustizia, la libertà, la fine del capitalismo, delle guerre, un altro mondo possibile.

 

"E' ricercando l'impossibile che l'uomo ha sempre realizzato ilpossibile. Coloro che si sono saggiamente limitati a ciò che apparivaloro come possibile, non hanno mai avanzato di un solo passo"Michail Bakunin

 

CSOA CLORO ROSSO TARANTO - CSOA MERCATO OCCUPATO BARI