Il grande risveglio

Avatar

Per un'interpretazione della pellicola Avatar

20 / 1 / 2010


Questa vuole essere una riflessione sul meta-film Avatar, sui messaggi che credo di scorgere, o meglio, decifrare, nell’acclamatissima pellicola di James Cameron. Messaggi rivoluzionari, disobbedienti, per un’azione immediata e radicale in difesa di Madre Terra!

Che si trattasse di un capolavoro, di un kolossal, di un film-evento, era stato già deciso prima dell’uscita nelle sale dalla campagna promozionale[1] e dalle notizie dei record, di incassi e gradimento, da tutto il globo rimbalzanti (l’Italia è stata l’ultima al mondo come data di distribuzione, ndr). Per quanto riguarda il film, la trama, lo svolgimento, penso questo vada visto e gustato, apprezzato per l’innovazione che introduce e in quanto veramente “scenograficamente” affascinante, con le ambientazioni del pianeta Pandora che fanno strabuzzare gli occhi e per quella bellezza irresistibile pulsante dagli occhi del popolo Na’Vi. Non aggiungo altro, non voglio entrare nei particolari dell’animazione o del plot, per questo esiste la critica, qui si fa o si vuole fare ben altro.

Funzionale alla mia riflessione può essere un sintetico riassunto della trama: la rielaborazione del paradigma “Pocahontas” (o come lo chiamano gli americani un episodio del genere going-native) proiettato nell’anno 2154. Una forma di colonialismo da preda intergalattico, un paradigma della conquista spietata da parte dell’umanità (nella sua becera forma del capitalismo occidentale) sempre alla ricerca della ricchezza materiale, nella fattispecie una preziosissima pietra denominata Unobtanium[2].

Ma tutto ciò, come detto, non interessa se non per inquadrare le problematiche celate nella metafora, e non così banali come potrebbero apparire a certa critica[3].

A pochi mesi da cop15, dal colossale fallimento della politica nelle questioni ambientali, in un momento in cui le anime ambientaliste sembrano abbandonate di fronte alla catastrofe globale, gli schermi cinematografici ci restituiscono una Natura altra, viva, organica e “in rete”[4] con l’uomo. La terra, il pianeta da cui proviene il rapace sfruttatore senza scrupoli del film, ha oramai ucciso la propria madre e grida la sua disperazione nell’aggressione universale. La brama di ricchezze, di benessere materiale, hanno portato alla morte del pianeta, di quel pianeta “dove non c’è più verde”[5]. Il marine Jake Sully, paralizzato da una lesione alla colonna vertebrale, ritrova nel suo avatar la capacità di avvicinarsi, su delle nuove gambe, e qui la metafora appare ai miei occhi di potenza esplosiva, alla Natura, alla vita in comunione con la madre Eywa grazie all’apprendimento delle usanze degli indigen Na’vi. Tralasciando la storia sentimentale e di una certa tenerezza primitiva, è interessante per me cogliere gli elementi della menomazione fisica di Jake. Attraverso il suo avatar, comandato dal pensiero, il marine riesce a riconquistare l’uso delle gambe. Semplicistica finzione fantascientifica? Forse. Ma oltre a questo un messaggio inequivocabile: un’umanità privata della sua naturalità riesce a ritrovare il pieno uso delle sue facoltà motorie attraverso un processo cerebrale di conversione ad un nuovo stile di vita. In sintesi: la coscienza che si sviluppa nell’uomo del suo legame con la Madre Terra,

riporta questo stesso uomo, incapace di camminare, a correre con le proprie gambe.

La capacità dunque di riavvicinarsi alla Madre, di entrare in connessione con essa attraverso la rete, un’altra tematica di fondamentale importanza nel 2010. Il grande cordone ombelicale con cui i Na’Vi riescono ad interagire con le forze della Natura richiama inequivocabilmente al nostro cordone, reciso al momento della nascita, che dobbiamo ricostruire quotidianamente grazie ad un avvicinamento progressivo al verde, al naturale delle piante e degli animali.

Se tra le critiche più dure al film, compare quella dell'Osservatore Romano, periodico ufficiale della Città del Vaticano, non bisogna stupirsi. E’ il cristianesimo infatti uno dei principali artefici del nostro delirio di onnipotenza sulla Natura. Dio ad immagine e somiglianza dell’uomo, dio il creatore, dio che preferisce il sacrificio animale di Abele a quello vegetale di Caino, dio che dispone l’uomo del pieno e legittimo controllo sulla vita terrestre. Di questo dio creazione e creatore dell’uomo si parla nei testi sacri, di questa violenza carno-fallo-logocentrica[6]. La Natura è donna, è madre, è accoglienza, amore.

Il giornalista Gaetano Vallini afferma che nel film «la tecnologia non riesce a tradursi in emozione, e la storia si perde in un polpettone sentimentale», riducendo il tutto ad «una parabola antimperialista e antimilitarista facile facile, appena abbozzata». Inoltre viene criticata la concezione panteistica che si cela dietro alla storia: «il film strizza abilmente l'occhio a tutte quelle pseudo-dottrine che fanno dell'ecologia la religione del millennio. La natura non è più la creazione da difendere, ma la divinità da adorare, mentre la trascendenza si svuota materializzandosi in una pianta e nelle sue bianche liane che nutre gli spiriti diramandosi nella forma di un vero e proprio panteismo».

Panteismo o meno, il giornalista cattolico ha colto, tentando di rovesciare, il messaggio spirituale del film. Un messaggio che fornisce un esempio di “come eravamo” e di “come dovremmo essere” per tornare in pace ed armonia con la nostra Terra.

Invito alla riflessione su queste tematiche trasparenti dal film, alla riflessione su come un ritorno alla Terra sia auspicabile utilizzando la potenza della rete e della connettività che le nuove tecnologie ci offrono.

Vorrei interagire con voi, con chiunque fosse interessato ad approfondire qualcosa che qui ho solamente abbozzato.



[1] Comprensibile la pressione pubblicitaria per un film costato 237 milioni di dollari.

[2] Sfiga vuole (o meglio, sceneggiatore vuole) che il maggior giacimento si trovi esattamente sotto l’albero-casa dei nativi.

[3] http://it.wikipedia.org/wiki/Avatar_%28film_2009%29

[4] Riferimento alla capacità dei Na’Vi di entrare in connessione con l’intera Natura e tutte le sue forme viventi attraverso una connessione dei capelli (ritorno ad un cordone ombelicale con la madre mai del tutto reciso). Indicativa la minaccia di tagliare la “coda-legame” a Jake-avatar al momento della sua cattura da parte dei cacciatori Na’Vi.

[5] Frase pronunciata nella preghiera alla divinità bio-energetica Eywa dall’avatar di Jake Sully.

[6] Derrida, J., “L’animale che dunque sono”.