2244 km sono la distanza che separa Taranto da Copenhagen.

2244 km

Dal Movimento locale in difesa dell ambiente e delle nostre esistenze precarie agli aspetti globali del riscaldamento del pianeta e della crisi del capitale.

25 / 11 / 2009

Il 28 novembre 2009, a distanza di un anno, i cittadini di Taranto tornano in piazza. Questa volta la giornata non è solo di denuncia ma esprime il bisogno di risposte concrete, risposte che non sono arrivate. La città in questi mesi è stata offesa e provocata dalla proposta di ampliamento della centrale Eni. L'azienda ha intuito le forti perplessità della piazza e ha preferito evitare lo scontro, nonostante il benestare cieco e insensato avanzato da buona parte delle istituzioni.
Indubbiamente al movimento spetta il merito di aver ottenuto alcuni risultati, questi allo stato attuale possono essere considerati inadeguati rispetto alla complessità dello scempio ambientale che avvelena la città, ormai da quasi cinquanta anni. Inutile nascondere che la legge regionale sulla diossina, per quanto si presenti come una novità assoluta dopo decenni di incosciente immobilismo, non ha risolto niente. Anche quando questa piazza vincerà la sfida del campionamento continuo, che resta un passaggio obbligato verso la strada della normalizzazione, il movimento deve compiere un salto di qualità. Non è solo la diossina ad uccidere la nostra città, questa rappresenta la punta di un iceberg che la manifestazione del 28 novembre ha il dovere di far emergere dalle acque gelide dell'indifferenza e della complicità criminale. L'emergenza diossina ha richiamato l'attenzione dei media nazionali: al movimento spetta il compito di crescere, di spiegare che l'intero futuro della nostra città deve essere riprogrammato tenendo presente le esigenze reali del territorio, rispondendo alla precarietà sociale, economica e culturale che adesso vive la nostra terra.
Ormai è evidente che la vocazione industriale della nostra città è stata un’invenzione frutto di scelte che nel lungo periodo si sono rivelate sbagliate e controproducenti. Per noi parla l’intero percorso della storia industriale nella nostra regione: dal boom degli anni ‘60 alla decrescita dei decenni successivi, non possiamo oggi far finta di non vedere il collasso socio-ambientale di questi ultimi anni.
Non si può nascondere, dal punto di vista urbanistico, che nel nostro caso possiamo senza dubbio parlare di una città che altro non è che la periferia di una grande zona industriale. Un fatto del genere non ha precedenti di questa portata in Europa mentre ci avvicina tristemente a certe realtà terzomondiste. Taranto è una grande città che ha perso il suo spirito, ha delegato le sue scelte alla sua industria. Sono i cicli produttivi che ne influenzano in modo determinante gli aspetti sociali, ambientali e politici.
L’ ambizione nostra e di tutti i cittadini che hanno a cuore Taranto è proprio quella di porre fine a tutto questo, noi stessi vogliamo decidere cosa è meglio per il nostro futuro, che deve necessariamente essere l’opposto della realtà odierna. La strada dell'ambientalizzazione è un vicolo cieco, una forma perversa di accanimento terapeutico. Come ambientalizzazione possiamo solo intendere un momento di passaggio necessario, un intervento rapido tipico delle situazioni di emergenza nazionale. La copertura dei parchi minerari ad esempio è da realizzarsi con la massima celerità, così come dopo i terremoti ai cittadini si garantiscono le tendopoli che sono solo il passaggio obbligato verso la costruzione di nuove e più solide case. La dichiarazione dello stato di emergenza può essere uno strumento per chiudere con questo passato fatto di morti bianche, ricatto occupazionale e monocultura dell'acciaio.
Quest'anno al centro del dibattito trova ampio spazio la proposta di referendum consultivo, assolutamente non vincolante, sulla chiusura dello stabilimento Ilva. Questo appuntamento ha il merito di interrogare direttamente ogni cittadino ma manca di un grande progetto costruito e condiviso dalla città. Non deve passare il messaggio, creato ad arte da certe forze politiche e propinato dalla stampa di parte, secondo cui scegliere la chiusura dell'Ilva significhi necessariamente il licenziamento e l'abbandono di tutti i lavoratori del settore.
L’ ecosostenibilità del pianeta e il surriscaldamento globale saranno al centro della prossima conferenza ONU che si terrà a Copenaghen in dicembre. In tutto il mondo si è aperto il dibattito sulla necessità di fare scelte coraggiose, di mettere in discussione il sistema del capitale che ha generato questo collasso. Anche noi saremo in Danimarca per prendere parola nelle decisioni del vertice, ultimo appello per la sopravvivenza del nostro pianeta. Il caso Taranto si inserisce perfettamente in quest’ ambito, tipico esempio locale della degenerazione globale del capitalismo selvaggio. Uscire dai confini locali è a questo proposito determinante, nella politica nazionale il nome della nostra città deve essere in primissimo piano.
Ridefinire il futuro cittadino, in questo contesto di assoluta emergenza ambientale, sociale e di crisi economica globale, significa parlare di un nuovo welfare. Polo ospedaliero pubblico, università specializzata che risponda ai veri bisogni del territorio, valorizzazione dell'ambiente e delle ricchezze paesaggistiche e storiche, servizi efficienti e reddito garantito, diretto ed indiretto, per tutti.

FINO ALL' ULTIMO RESPIRO !!!

C.S.O.A. CLORO ROSSO