Si attende il discorso di Bashar Assad, forse già
oggi, più probabilmente domani, per capire l'estensione e la profondità
delle riforme che il presidente siriano sarebbe disposto a mettere in
moto. Secondo le indiscrezioni, Assad dovrebbe andare ben oltre la
revoca (dopo 50 anni) della legge d'emergenza e l'approvazione di
qualche riforma politica di facciata. Potrebbe annunciare l'avvio, entro
certo limiti, di un vero multipartitismo - non quello finto di oggi con
formazioni satelliti che ruotano intorno al Baath al potere - e una
maggiore libertà di stampa.
Tuttavia Assad non dispone del potere
assoluto di cui aveva goduto il padre Hafez né ne possiede il carisma,
necessario per tenere sotto controllo, da solo, i potenti apparati di
sicurezza del paese. Ci provò dieci anni fa a riformare il paese, a
modernizzarlo, ma gli uomini forti del regime lo costrinsero a fare
marcia indietro e per un decennio il leader siriano non si è azzardato a
riproporre la sua (presunta) linea di rinnovamento. Anzi, ha avallato
la politica del pugno di ferro del mukhabarat (il servizio segreto) nei
confronti degli oppositori e persino di quei dissidenti, come
l'intellettuale progressista Michel Kilo, al quale lo stesso Assad aveva
fatto riferimento nel primo anno di presidenza. Il rinvio del suo
discorso alla nazione conferma che il dibattito - forse un vero e
proprio scontro - nel regime è molto acceso.
«Comunque sia, anche i
più conservatori nel regime siriano, quelli che controllano i piani alti
dei servizi di sicurezza, sanno che non è possibile andare avanti come
se in questi tre mesi non fosse accaduto nulla nel mondo arabo. Sono
consapevoli che occorre voltare pagina, in qualche modo», spiega
l'analista arabo Mouin Rabbani, convinto però che le riforme che si
preparerebbe ad annunciare Assad, seppure significative, non metteranno
in dubbio la stabilità del regime. L'urgenza del cambiamento è dettata
dagli scontri con decine di morti avvenuti nei giorni scorsi, non solo a
Daraa e in altri piccoli centri abitati rurali ma anche nell'importante
città portuale di Latakiya, da dove è cominciata l'ascesa al potere
degli Assad. «Sono stata ieri (domenica) a Latakiya e posso confermare
la protesta è stata massiccia anche in questa città, nelle strade ci
sono i segni di scontri violenti, auto ed edifici dati alle fiamme,
barricate, pietre ovunque» ha riferito al manifesto Martina Iannizzotto,
un'italiana che si trova da alcune settimane in Siria. La testimone,
che ha visitato anche Daraa nei giorni scorsi, tuttavia sottolinea che
«Bashar Assad rimane popolare: in migliaia, e non tutti prezzolati, sono
scesi in strada a Damasco in suo sostegno e larga parte della
popolazione è convinta che (il presidente) sia l'unico che può garantire
la stabilità ed effettuare le riforme».
Nelle ultime ore in appoggio
al presidente siriano è sceso il monarca saudita Abdallah - che ha
inviato i suoi soldati nel Bahrein a reprimere la rivolta pro-democrazia
contro re Hamad al Khalifa ed è pronto a fare altrettanto con i suoi
sudditi sciiti - mentre il segretario di stato americano Hillary Clinton
ha assicurato che «l'intervento» militare in corso contro la Libia non
si ripeterà in Siria, «perché il Congresso americano ritiene che il
presidente siriano Bashar Assad sia un riformatore».
A spingere alla
cautela l'Amministrazione Usa è, in realtà, il rischio fondato che la
Siria si trasformi in un nuovo Iraq, a danno anche, se non soprattutto,
dell'alleato israeliano. Quando, nel 2003, la passata l'Amministrazione
Bush venne tentata fortemente di ripetere contro Damasco l'offensiva
devastante compiuto contro Baghdad, fu l'ex premier israeliano Ariel
Sharon a frenare i piani di attacco, perché convinto che la caduta del
«nemico Assad» avrebbe portato a ridosso dei confini di Israele i
qaedisti e i gruppi armati sunniti e sciiti che hanno dettato legge per
anni in Iraq.
Ieri è stata una giornata relativamente più calma
almeno rispetto ai giorni passati, con le forze di sicurezza che
avrebbero aperto il fuoco, stavolta solo a scopo intimidatorio, a Daraa
dove si è svolta una nuova manifestazione di protesta. Sono stati
liberati inoltre il producer televisivo Ayata Basma e il cameraman Ezzat
Baltaji, entrambi libanesi e dipendenti dell'agenzia Reuters, che erano
stati arrestati il 26 marzo perché non avevano il permesso per lavorare
in Siria.
Siria - Sauditi e americani in soccorso di Assad
29 / 3 / 2011
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