Vivo questi momenti con angoscia. Sono convinto antimilitarista, pacifista e nonviolento.
Vivo
la guerra libica come una sconfitta personale. La mia generazione di
libici è fallita. Non abbiamo fatto abbastanza per sconfiggere
politicamente la dittatura gheddafiana. L'opposizione era frantumata in
mille rivoli, dai monarchici fino ai socialisti, ma tutti regolarmente
all'estero e uno contro l'altro. Perché all'interno del paese c'erano
soltanto Abu Selim (eccidio di 1200 detenuti politici, nelle loro celle,
il 26 Giugno 1996, del quale ha parlato nel 2009 solo il manifesto)
oppure le esecuzioni in pubblico negli stadi. Non abbiamo avuto
sufficiente voce per farci sentire e, forse, anche il mondo non ci aveva
dato ascolto, perché gli orecchi dei grandi erano tappate da cerotti di
petrolio e dalla carta moneta delle commesse di armamenti.
Perché
considero giusta la richiesta della No Fly Zone, da parte del Consiglio
Nazionale Transitorio Libico (Cntl)? Perché era l'unica strada per la
salvezza dei giovani libici che hanno dato avvio a questa rivoluzione, a
questa resistenza. Il Cntl non ha chiesto - e lo ha ribadito anche
nella giornata di lunedì 21 - bombardamenti sulla residenza di Gheddafi a
Bab Azizie per ucciderlo. «Destituire Gheddafi è un compito nostro e lo
faremo mobilitando il nostro popolo in questa resistenza formidabile
che unisce tutto il paese», ha detto l'avvocato Abdel Hafeez Ghouga. È
un diritto sacrosanto alla sopravvivenza!
È, parimenti, diritto dei
miei compagni pacifisti italiani dichiararsi contrari all'intervento
delle potenze occidentali, ma non mettano in campo ragioni che
riguardano la nostra ricchezza petrolifera o il concetto di sovranità
nazionale. Non ho dubbi che Stati uniti, Francia e Gran Bretagna non
sono lì a difendere il mio popolo. Non ci sono guerre umanitarie, come
ha scritto giustamente Tommaso Di Francesco. Lo so che sono lì per il
petrolio e per le commesse future. La ridicola polemica tra Francia e
Italia sul commando della missione dimostra ampiamente questo occhio
rivolto al petrolio e rischia di allungare la vita al dittatore. Vi
ricordo però che il petrolio ce l'avevano sotto il loro controllo anche
prima. Non hanno organizzato loro la rivolta in Libia. Per loro sarebbe
stato meglio se fosse rimasto tutto come prima, quando ballavano coi
lupi.
Un discorso a parte per il miliardario ridens. Ha fatto ridere i
polli e ha trascinato l'Italia in una situazione ridicola. Un giorno
diceva una cosa e l'altro sostieneva il contrario. Ha superato se stesso
quando la mattina ha detto che Gheddafi è tornato in sella e poi la
sera, dopo che ha capito le intenzioni del Consiglio di sicurezza
dell'Onu, ha cambiato idea per dire: «Gheddafi non è più credibile».
A
Torino poi, dopo l'avvio della campagna militare alla quale partecipa
l'Italia, ha cambiato ancora bandiera, dando credito al colonnello.
I
compagni dell'Arci e della Tavola della Pace hanno ragione a chiedere
che l'Italia non abbia un ruolo attivo nei bombardamenti. C'è una doppia
ragione che consiglia ciò. La posizione altalenante di Berlusconi e
Frattini è un dato che consiglia prudenza, ma la ragione più forte è
un'altra: l'Italia è stata una potenza coloniale in Libia, quest'anno
ricorre il centenario dell'aggressione italiana al suolo libico (avete
visto qualche cerimonia per ricordarlo?) e questo trascorso militare (i
primi bombardamenti aerei in assoluto nella storia militare sono
avvenuti a Kofra da parte di un aviatore italiano), consiglia di
astenersi completamente dal bombardare il territorio libico da parte
dell'aviazione militare italiana.
L'Italia, se intende rimettere i
rapporti con il popolo libico sul binario giusto, dedichi qualche piazza
a Omar Mukhtar, eroe della resistenza libica, proposta che avevo
avanzato proprio sulle pagine del Manifesto, oltre 10 anni fa, ma caduta
nel dimenticatoio anche da parte del compagno(?) Veltroni, allora
sindaco di Roma.
Se il governo italiano ha fatto una brutta figura,
peggio hanno fatto certi opinionisti, attaccati a concetti ideologici,
dimenticando la resistenza italiana contro il regime fascista e contro
la repubblichina di Salò. Ecco, Gheddafi per noi libici rappresenta
quello e i nostri ragazzi sono i nuovo partigiani. In questi momenti, i
democratici di Tripoli vivono lo stesso sentimento di quei partigiani di
Milano che lottavano per la liberazione in una città sotto le bombe
degli alleati.
Noi vogliamo la libertà e mettere finire alla
tirannia, scrivere una costituzione e scegliere, in elezioni libere, chi
governerà la Libia. Questo processo è guidato da magistrati, avocati,
medici, ingegneri e cosa sento e leggo? Che la Libia è abitata da
beduini. Si sono dimenticati che la Libia nel 1804 ha sfidato e
sconfitto gli Stati Uniti, freschi freschi di indipendenza (Professor
Giuseppe Restifo, «Quando gli americani scelsero la Libia come nemico»
Armando Siciliano Editore).
Non so se questo dice qualcosa a certi
«signoroni» opinionisti italiani. Alcuni arrivano a ripetere cliché
retaggio del colonialismo culturale, dimostrando ignoranza della realtà
libica.
Noi oggi siamo protagonisti e vogliamo chiudere con il
dittatore. Ben vengano tutte le proposte di mediazione internazionale,
come quella del presidente della Bolivia Evo Morales, per arrivare, per
via pacifica, alla cacciata del sanguinario despota.
La mia sconfitta, la nostra salvezza
24 / 3 / 2011
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